Un uomo finito di Giovanni Papini (1913): Il culto mi attirava – e non soltanto per la bellezza delle cerimonie e per la musica delle messe cantate. Qualcosa di ambiguo – il bisogno di credere, di tornar fanciullo, di sentirmi in comunione colla cristianità dalla quale ero uscito – si agitava sommessamente in me, senza volersi decidere chiaramente. Leggevo Sant'Agostino; meditavo Pascal; assaporavo i Fioretti. Giunsi fino all'Introduction à la Vie Dévote e agli Esercizi spirituali. Curiosità psicologica, desiderio d'informazione?
Lontano di Luigi Pirandello (1902): Allora sì Pietro Mìlio faceva denari a palate! Di interpreti, per tutti i vapori mercantili che approdavano nel porto, non c'era altri che lui e quella pertica sbilenca di Agostino Di Nica, che gli veniva appresso, allora, come un cagnolino affamato per raccattar le briciole ch'egli lasciava cadere. I capitani, di qualunque nazione fossero, dovevano contentarsi di quelle quattro parole di francese che scaraventava loro in faccia, imperterrito, con pretto accento siciliano: – mossiurre, sciosse, ecc.
Il nome della rosa di Umberto Eco (1980): “Si chiamava Agostino. Ma è morto l'anno scorso, cadendo da una impalcatura mentre con altri monaci e famigli ripuliva le sculture della facciata della chiesa. E poi, a ben pensarci, lui aveva giurato e spergiurato di non aver lasciata aperta la porta prima dell'uragano. Fui io, infuriato, che lo ritenni responsabile dell'incidente. Forse era davvero innocente.” |